5 Gennaio 2016 Paolo Giuseppe Bianchi

Formazione esperienziale nell’impresa

Formazione Esperienziale nell’impresa: questa sconosciuta

Formazione esperienziale per manager e leader. Umaniversitas 2016. Che senso ha chiudersi alcuni giorni in un monastero benedettino o fare sessioni di spada giapponese soprattutto se si è manager d’impresa? Apparentemente nessuno eppure la formazione esperienziale nell’impresa ha delle grandi potenzialità e chi l’ha sperimentata può garantirne i risultati.

La formazione esperienziale è una modalità formativa che da anni viene utilizzata nell’impresa soprattutto per i manager; tuttavia, tra luci ed ombre, è ancora sconosciuta ai più, poco utilizzata e sottovalutata.

Formazione esperienziale per managerParliamo di formazione esperienziale. Che senso ha chiudersi alcuni giorni in un monastero benedettino o fare sessioni di spada giapponese soprattutto se si è manager d’impresa? Apparentemente nessuno eppure la formazione esperienziale nell’impresa ha delle grandi potenzialità e chi l’ha sperimentata può garantirne i risultati.

Giorgio (n.b. il nome è di fantasia) è il direttore risorse umane di una grossa azienda italiana. Occupa da anni con discreto successo la sua posizione dove ha avuto modo di formare e fare formare non solo i suoi collaboratori, ma anche la maggior parte delle persone che lavorano nella sua azienda. È molto soddisfatto degli obiettivi raggiunti, ma mi confessa che vorrebbe fare di più, con risultati più duraturi perché crede che si debba continuare ad imparare e che, soprattutto, sia importante fermarsi e riflettere su ciò che si sta facendo prima di proseguire. E’ convinto che questa sia la via per ottenere dei buoni risultati per qualsiasi tipo di progetto. Crede fermamente che questo valga non solo nell’impresa, ma anche nella vita. E’ per questa ragione che ci troviamo seduti l’uno di fronte l’altro in una calda mattina di giugno a parlare di formazione.

Giorgio non è un ragazzino alle prime armi, e si è guadagnato il suo posto con fatica, a volte sgomitando per dimostrare il suo valore; non mi nasconde che una buona dose di fortuna l’ha fatto essere “nel posto giusto al momento giusto”, ma non per questo le cose possono sempre andare come si vuole. È lui che deve scegliere la formazione per ogni dipendente dell’azienda e finora, con orgoglio, dice di esserci sempre riuscito.

La formazione nell’impresa è sempre un gran punto di domanda e, soprattutto in Italia, spesso mal vista, maltrattata, fatta perché obbligatoria per certi livelli e certi ruoli: figuriamoci la formazione esperienziale.

Nonostante la grande apertura mentale e la grande esperienza, Giorgio, mentre gli prospetto alcune idee che possono essergli di aiuto, mi guarda come se fossi un marziano: gli sto parlando di formazione esperienziale.

La formazione esperienziale in Italia è pressoché sconosciuta e nonostante gli svariati format proposti siano tutti più o meno validi ed interessanti, i dubbi che rimangono sono tanti e quindi, per questo, fa fatica a decollare e a dare i suoi frutti.

Ma a cosa serve la formazione esperienziale in un’impresa? Perché un dirigente dovrebbe approcciarsi a questo tipo di formazione? Per fare cosa? Esperienza di cosa?

Meglio non rischiare, meglio non cadere nel ridicolo o avere pareri negativi dai propri capi: non rischiamo e facciamo la formazione “classica, tradizionale”, in aula.

Della formazione esperienziale è stato detto tutto e il contrario di tutto: ma come poter descrivere qualcosa che si basa sul fare “formazione” e sul fare “esperienza” soprattutto se ciò che si fa nelle sessioni è qualcosa di diverso che sembra lontanissimo dalle logiche del ruolo ricoperte e ancora di più dalle proprie mansioni?

Eppure la formazione esperienziale in impresa oggi come oggi può proprio essere la chiave di volta, la via per “imparare ad imparare” e quindi a favorire tutta quella serie di processi di apprendimento che spesso risultano difficili soprattutto quando implicano “cambiamento”, “adattamento” o anche solo la “promozione” o “gestione di progetti più complessi”.

La formazione esperienziale differisce proprio da quella definita “tradizionale” perché non parla alla persona del “fare” e di “come fare a”. Molto spesso è dato per scontato che chi frequenta un corso di formazione esperienziale sappia fare molto bene il suo mestiere, ne conosca i punti di forza, le debolezze, gli aspetti tecnici, relazionali; sia insomma un manager qualificato per il ruolo che ricopre.

E’ questo il nocciolo della questione: oggi servono aspetti di adattabilità e flessibilità che spesso stridono col carattere delle persone, soprattutto a livelli più alti, dove è sempre più difficile mettersi in discussione o soprattutto creare strategie innovative e farle adottare con un certo senso di condivisione.

Cosa c’entra allora in tutto questo la formazione esperienziale? C’entra, eccome!

La formazione esperienziale, fa “provare” un’esperienza o una serie di esperienze spesso avulse dell’ambito aziendale perché come i bambini alle prime armi c’è bisogno di osservare, toccare, sperimentare il mondo circostante imparando e immagazzinando informazioni che saranno via via utili nella sua crescita.

Per l’adulto è un po’ diverso: molte informazioni sono date per scontate perché acquisite nel passato e questo porta a “spegnere” il desiderio di continuare a sperimentare e quindi imparare e rapportarsi con il mondo circostante. Di solito questo è il timore maggiore: mettersi in discussione.

L’adulto nella formazione esperienziale, giocando, reimpara a riattivare aspetti cognitivi latenti lasciando segni indelebili.

Non è detto che nelle sessioni di formazione esperienziale non si affrontino anche aspetti tecnici, soprattutto legati alla relazione o alla gestione di situazioni, ma è il modo di affrontarle a fare la differenza. Se nella formazione tradizionale si danno soluzioni da applicare, nella formazione esperienziale la soluzione è affidata alla sensibilità e alle capacità del singolo e deve emergere con un suo stile per sapersi misurare con i propri comportamenti.

Molti pensano erroneamente che la formazione esperienziale si debba svolgere per forza all’aperto (outdoor training), e questo è un altro mito da sfatare.

L’approccio del trainer è ciò che caratterizza la sessione di formazione esperienziale ed è il segreto del successo di questa perché deve saper combinare le necessità dell’impresa con gli aspetti tecnici tipici di ogni attività.

Un ruolo fondamentale nella formazione esperienziale è giocato dagli aspetti di tipo olistico.

Gli esperti che si stanno accorgendo di quanto le emozioni e le sensazioni giochino un ruolo importante nella vita dell’impresa sono sempre più numerosi. Questi concordano nel sostenere che quando si combinano aspetti cognitivi, emozionali e fisici si raggiunge una grande soddisfazione personale che si riflette anche sul mondo circostante.

La creatività che ognuno deve applicare anche nel lavoro più monotono e ripetitivo (se non altro per sopravvivergli) è uno degli istinti che va fatto rinascere nei manager, soprattutto se occupano posizioni da diverso tempo. L’idea è stimolare il pensiero laterale imparando così a gestire le situazioni difficili, gli stati di stress e le sfide elaborando risposte più efficaci, concrete, creative.

L’aspetto principale su cui basare una formazione esperienziale di successo è quello metaforico. Ciò che si fa nella sessione non deve essere totalmente scollegato agli obiettivi da raggiungere, ma deve avere un nesso logico dove le competenze personali possano essere condivise allo stesso modo di quelle sconosciute. Per questa ragione una buona formazione esperienziale deve essere coinvolgente e svolgersi in un clima di relazione in cui si è tutti “alla pari”. In questo posso dire che più il modello di formazione esperienziale è sconosciuto a tutti e più alta è la possibilità che la formazione esperienziale dia buoni successi perché implica l’attivazione di tutte le risorse personali dei partecipanti.

Fermarsi per riflettere su ciò che si sta facendo è un processo normale in una formazione esperienziale soprattutto se la metafora proposta è poco nota, ma questo aiuta la persona a capire come sia indispensabile realizzare questo processo anche nella vita di tutti i giorni, frenando l’impulsività che proviene dall’ego o i pregiudizi, per esempio, su fatti e persone.

Nelle sessioni di formazione esperienziale il partecipante divertendosi ha quindi modo di sperimentare l’importanza del momento in sé, senza dedicarsi troppo ad aspetti futuribili, anzi comprendendo che la progettazione ha senso soprattutto se creata nel momento immediato in cui si vive rendendo così concreto tutto ciò che si è e si fa.

Quali obiettivi ci si pone in una formazione esperienziale?

Gli obiettivi possono andare dalla maggiore adattabilità ai cambiamenti, all’adattarsi meglio alle esigenze di un gruppo di progetto, gestire lo stress, conoscere meglio i propri punti di forza e di debolezza, aumentare l’autostima, la volontà, saper stimolare il gruppo nella crescita individuale e globale, potenziare capacità inespresse, migliorare la fiducia, la delega, l’autorevolezza e l’autoconsapevolezza, gestire conflitti espressi ed inespressi, vincere timori…

Il gruppo, spesso necessario per una buona formazione esperienziale è sempre un banco di prova per tutti, è l’orientamento che ogni buon format deve avere: se non c’è crescita personale sarà impossibile poterla avere in una squadra e viceversa.

Per questo la formazione esperienziale è un ottimo strumento per porre l’azienda in una sana competizione verso le sfide.

Tornando a Giorgio e alle sue perplessità, posso solo dire che lui ha deciso di rischiare con tutto il suo gruppo di collaboratori. I risultati? Ben oltre le aspettative, ma per questo dovete chiedere a lui.

Per approfondire:

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Paolo Giuseppe Bianchi

Nella mia vita professionale continuano ad accompagnarmi grandi passioni. La prime sono quelle dell’antropologia clinica (sono stato allievo dello psicopedagogista israeliano e quasi premio nobel per la pace Reuven Feuerstein) e dell’antropologia delle organizzazioni alle quali continuo a dedicare molta parte del mio tempo e studio. Queste mi permettono da una parte di sviluppare approcci dinamici e sicuri soprattutto nella relazione di aiuto che offro da almeno venticinque anni come Counselor, Formatore e Formatore Esperienziale, ma anche di svolgere ricerca e applicazioni a vari livelli nell’ambito delle medicine integrate, delle bioterapie e delle discipline bio-naturali. Le mie altre due altre grandi passioni sono la Regola benedettina, che per me è fonte inesauribile di idee e soluzioni, e le arti marziali, che pratico non solo dal punto di vista sportivo, ma che vivo anche sotto l’aspetto filosofico e spirituale.

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